Nebbia sulla crisi

Stampa e finanza a Ferrara: omissioni, tecnicismi, qualche luce
07 Ottobre 2013 - 10:30

Racconta Kostas Kallergis, giornalista freelance (whenthecrisishitthefan.com) di Atene, che quando la crisi è iniziata ai greci non è stato offerto altro che gli studi del governo, per capire cosa fosse successo e di chi fossero le responsabilità: “In Islanda persino il primo ministro è stato accusato, in Grecia niente di tutto ciò. Dopo l'annuncio di Papandreu c'è stato un gran proliferare di nuovi termini in Tv, come 'spread'. Le persone non sapevano cosa volesse dire: avevano solo capito che se era basso le cose andavano bene, se era alto male”.

Il gioco delle omissioni, dei tecnicismi, delle menzogne trasformate da un po' di marketing dell'informazione in verità accettabili è quello su cui si sono accesi i riflettori al Festival di Internazionale a Ferrara, sabato 5 ottobre 2013. E così alla fine dell'oretta e mezza di dibattito sulle “Relazioni pericolose” tra Kallergis, Andrea Baranes (Fondazione Banca Etica), Paolo Mondani (Report Rai 3) e Micah White (Adbusters e Occupy Wall Street), prevalevano tre sensazioni: tante idee in testa, molta indignazione e un gran bisogno di capire.

Notizie noiose

“C'è un gran bisogno di capire notizie apparentemente noiose come quelle finanziarie”: così Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica nell'introduzione. Perché, aggiunge Biggeri, è la finanza che governa il mondo e dunque si tratta del destino di tutti noi. Biggeri invita a “smettere di essere degli analfabeti finanziari, per poter scegliere”. Mauro Meggiolaro, giornalista del Fatto Quotidiano che modera il dibattito, cita questo articolo di articolo di Die Zeit del 2011. Che diceva già quasi tutto.

Esperti e iniziati

Un fattore chiave della nebbia di cattiva informazione sulla crisi è la forte dipendenza del dibattito dalle opinioni dei cosiddetti esperti. Per Andrea Baranes “la crisi finanziaria è stata raccontata chiedendo informazioni e intervistando personaggi appartenenti all'elite finanziaria, spesso corresponsabili della crisi. E ben poco spazio è stato dato alle voci indipendenti”. Gli fa eco Micah White: “Anche per la crisi ecologica o culturale privilegiamo sempre la voce degli esperti. E così l'orizzonte dei pensieri è limitato. E invece è necessario espandere l'immaginazione delle persone per allargare l'orizzonte delle possibilità”. Anche perché, aggiunge White, gli esperti spesso non hanno soluzioni da proporre.

Do you speak english?

Racconta Kostas Kallergis: “All'inizio della crisi i memorandum che arrivavano dall'Unione Europea erano scritti in inglese e molti giornalisti rinunciavano a leggerli. Anche un politico ha dichiarato pubblicamente di non aver avuto tempo di leggere il memorandum: ora è ministro”.

La crisi e internet

Ancora Kallergis: “Le persone hanno iniziato a spegnere la tv e usare internet per capire cos'era successo, ma molti giornalisti attivi sulla rete erano persone senza background economico, spesso 25enni che avevano appena finito la scuola”. Kallergis parla allora di “shallow reporting”, un racconto di basso livello, fatto di cose riportate. Pian piano però le cose sono cambiate. Anche il suo lavoro ne è una prova. Un racconto diverso è in The Wake Up Call, docufilm sull'arte di strada nell'Atene della crisi da lui realizzato.

Autocensura

Di “autocensura dei giornalisti” parla Paolo Mondani: “Dove sono i giornalisti finanziari ed economici che hanno tutto il tempo in Italia per leggere e studiare?” Mondani denuncia anche il potere di condizionamento della pubblicità che le banche veicolano attraverso i giornali.

Di male in peggio

Secondo Andrea Baranes “è peggiorato, con il passare degli anni, la qualità del racconto della crisi. C'è un problema di sintassi del racconto, di contestualizzazione. Si arriva al punto che nessuno denuncia gli attivi bancari oltre il 5000 per cento della patrimonializzazione, mentre si censura lo sforamento del rapporto deficit/Pil da parte di un Paese dell'Eurozona ed è una tragedia il passaggio dal 3 al 3,1%. Si parla di comuni virtuosi se tagliano servizi e welfare ai cittadini. Ci sono assunti ideologici che sono dati per scontati. Queste cose evidenziano le gravi responsabilità dei media”.

Cosa resta di OccupyWallSt

Micah White spiega che decostruire immaginario è l'obiettivo di Adbusters. Ed è anche il motivo per cui è nato Occupy Wall Street: “Il risultato è stato fallimentare, perché i governi non ascoltano le popolazioni, Obama non ha mai citato il movimento. Però è stato un fallimento costruttivo”. Ora White propone di ripartire da un movimento politico che non si fermi al singolo Paese e si dice interessato al M5S in Italia. Ma Kallergis indica altri obiettivi: “Come giornalista devo offrire ai cittadini strumenti per capire e una migliore informazione. Il mio obiettivo non è la rivoluzione, ma l'informazione”.

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